Violenza di genere, una ferita sociale che sanguina ogni giorno

Oltre il 31% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenze fisiche o sessuali, e 5,6 donne su 10.000 finiscono in pronto soccorso per le conseguenze di questi abusi. Dietro i numeri, c’è un fallimento collettivo
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I numeri parlano chiaro, ma l’indifferenza sociale li soffoca. Ogni giorno, in Italia, migliaia di donne vivono l’incubo della violenza, fisica o sessuale, in un contesto che sembra sempre più incapace di offrire protezione, supporto e, soprattutto, prevenzione. Dietro le statistiche si celano vite spezzate, corpi segnati, traumi indelebili. E se oltre 5 donne su 10.000 sono costrette a ricorrere al pronto soccorso per violenza, la domanda non può essere solo “come curare?” ma soprattutto “come fermare?”.

Il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito almeno una forma di violenza fisica o sessuale nella propria vita. Più di sei milioni di vite segnate da abusi, spesso perpetrati da chi doveva essere una figura di fiducia: partner, ex partner, familiari. Quasi il 63% degli stupri sono commessi da partner attuali o passati. Questo dato smonta il mito del “mostro sconosciuto”: il nemico è spesso dentro casa.

Le violenze non si limitano ai traumi fisici. Gli accessi al pronto soccorso rivelano un mondo sommerso di diagnosi legate a maltrattamenti, abusi sessuali e traumi psicologici. Giovani donne tra i 18 e i 34 anni sono le più colpite, ma l’età non è una protezione: la violenza attraversa le generazioni, radicandosi in una cultura che ancora tollera il controllo, la sopraffazione e il silenzio.

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Il ricorso al pronto soccorso è il grido di aiuto di chi non ha trovato protezione prima che la violenza si manifestasse in tutta la sua brutalità. È un punto di non ritorno che certifica il fallimento della prevenzione. Troppe donne arrivano a chiedere aiuto solo quando le ferite sono fisiche e visibili, quando il trauma psicologico ha ormai scavato un solco profondo.

L’accesso alle cure mediche, tuttavia, non è abbastanza. Le strutture sanitarie sono spesso il primo contatto con il sistema, ma da sole non possono sostenere il peso di un fenomeno così diffuso. Le denunce restano basse, la paura prevale e la sfiducia nelle istituzioni contribuisce a perpetuare il ciclo della violenza.

Come società, falliamo quando normalizziamo atteggiamenti di prevaricazione e controllo. Falliamo quando banalizziamo il dolore delle vittime o liquidiamo la violenza domestica come “questioni private”. Le statistiche dimostrano che la violenza non è un problema marginale: è un’emergenza strutturale che richiede un cambiamento culturale profondo.

La violenza contro le donne non è un fatto individuale; è il sintomo di un sistema che giustifica, minimizza e in alcuni casi addirittura colpevolizza le vittime. Il dato che quasi il 69% delle donne abbia interrotto una relazione a causa delle violenze subite dimostra che molte si trovano sole ad affrontare la fuga, senza una rete di supporto adeguata.

Prevenzione, educazione e supporto devono essere le priorità. È fondamentale investire in programmi scolastici che insegnino il rispetto, l’uguaglianza di genere e il riconoscimento dei segnali di abuso. Le istituzioni devono rafforzare i servizi di ascolto, i centri antiviolenza e i percorsi di reinserimento per le vittime. Non meno importante è garantire una formazione adeguata agli operatori sanitari e alle forze dell’ordine, affinché possano intervenire tempestivamente e con sensibilità.

La violenza di genere non è una fatalità. È un problema sociale, culturale e politico che richiede uno sforzo collettivo per essere sradicato. Ogni donna costretta a ricorrere al pronto soccorso è una sconfitta per tutti noi. E finché non saremo in grado di prevenire, proteggere e sostenere, non potremo definirci una società civile.

credit ph: Foto di Diana Cibotari da Pixabay

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