Roma – Lo studio KEYNOTE-A18 presentato al Congresso europeo di oncologia medica (ESMO) è il primo studio di fase 3 ad aver dimostrato che l’immunoterapia migliora in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) nelle donne con tumore della cervice uterina localmente avanzato, rispetto alla sola radio-chemioterapia.
“I risultati di questo studio – commenta la professoressa Domenica Lorusso, Responsabile UOC Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma, che del KEYNOTE-A18 è stata Principal Investigator – cambieranno lo standard di trattamento e sono ancora più importanti se si considera che per questa tipologia di tumore non c’erano stati progressi terapeutici significativi da 20 anni a questa parte”.
Questo studio ha valutato l’efficacia di pembrolizumab (immunoterapia anti-PD1) in combinazione con la radioterapia a fasci esterni (EBRT) più chemioterapia concomitante, seguita da brachiterapia (si tratta della cosiddetta ‘chemioradioterapia concomitante’) nelle pazienti con tumore della cervice uterina neo-diagnosticato localmente avanzato e a rischio elevato.
I risultati del KEYNOTE-A18 dimostrano che pembrolizumab associato alla chemioradioterapia concomitante riduce il rischio di progressione di malattia o morte del 30%, rispetto alla sola radiochemioterapia concomitante. È stato rilevato anche un trend positivo per quanto riguarda la sopravvivenza globale ma i dati non sono ancora ‘maturi’ e bisognerà aspettare il proseguimento del follow up per quelli definitivi.
“I risultati dello studio, condotto su circa mille pazienti – conclude la professoressa Lorusso – cambieranno lo standard di cura di questo tumore, quasi sempre causato dal Papillomavirus (HPV), la più frequente infezione a trasmissione sessuale”. Ogni anno sono 2.400 le nuove diagnosi di questo tumore che potrebbe essere prevenuto con la vaccinazione anti-HPV.
Quello dell’endometrio è uno dei tumori ginecologici più frequenti; purtroppo la sua prognosi in caso di recidiva non è buona e rappresenta un’area di unmet need terapeutico da colmare con la ricerca di nuovi trattamenti. Sono stati dunque accolti con grande interesse i risultati dello studio di fase 3 DUO-E presentati al Congresso dell’ESMO che dimostrano per la prima volta come l’associazione immunoterapia (durvalumab) chemioterapia a base di platino, seguita dal trattamento con un PARP-inibitore (olaparib) comporti un significativo aumento della sopravvivenza libera da progressione di malattia rispetto alle pazienti trattate con sola chemioterapia, affette da tumore dell’endometrio avanzato o ricorrente.
Lo studio DUO-E in particolare ha dimostrato una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte del 45% nelle pazienti trattate con durvalumab più chemioterapia, seguiti da durvalumab più olaparib e del 29% nelle donne trattate con durvalumab più chemioterapia seguiti dal solo durvalumab, rispetto a quelle trattate con sola chemioterapia (braccio di controllo). La PFS mediana è stata di 15,1 mesi nel braccio durvalumab-olaparib, contro i 9,6 mesi del gruppo di controllo.
“Ogni anno in Italia sono 10 mila i nuovi casi di tumore dell’endometrio che è il più comune tra i tumori ginecologici – spiega la professoressa Domenica Lorusso, che all’ESMO è stata invitata a commentare i risultati dello studio-. I risultati di questo studio offrono agli oncologi e alle pazienti nuove opportunità di terapia contro questo tumore, finora un po’ sottovalutato, al punto che è l’unico tra i tumori ginecologici a mostrare un’incidenza e una mortalità in aumento”.
Lo studio è stato condotto su circa 700 pazienti, arruolate presso 22 Paesi del mondo (Stati Uniti, Europa, Sud America e Asia). Il durvalumab è un anticorpo monoclonale umano diretto contro la proteina PD-L1.
“Questi due studi – commenta il professor Giovanni Scambia, direttore scientifico di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Ginecologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma – introducono in maniera inequivocabile l’immunoterapia come una delle terapie fondamentali nel trattamento dei tumori del collo dell’utero e dell’endometrio. Si tratta di una svolta importantissima nella lotta a questi tumori con dei risultati molto rilevanti in termini di riduzione del rischio di recidiva di malattia. Inoltre, l’efficacia dell’immunoterapia, in particolare nelle pazienti con positività del PDL-1 e alterazione del sistema del MMR, conferma ancora una volta come il futuro della ginecologia oncologica sia sempre più nel segno della medicina di precisione”.
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