Li chiamano ultraprocessati, ma ormai potremmo tranquillamente definirli per quello che sono: condannati. E non da una sentenza morale, ma da un verdetto scientifico che si fa ogni giorno più implacabile. Parliamo dei cibi confezionati, industriali, spesso pieni di zuccheri, grassi, sale e additivi chimici. Quelli che troviamo sugli scaffali dei supermercati in ogni forma e colore, apparentemente comodi, spesso irresistibili, ma in realtà nemici silenziosi della nostra salute.
Le evidenze si accumulano. Studi internazionali, pubblicati sulle più autorevoli riviste scientifiche, mostrano una correlazione chiara tra il consumo regolare di cibi ultraprocessati e l’insorgenza di malattie croniche: diabete di tipo 2, obesità, disturbi cardiovascolari, alcuni tipi di tumori. Secondo una recente ricerca pubblicata sul British Medical Journal, un’alimentazione ad alto contenuto di questi alimenti aumenta il rischio di mortalità del 15%. Il dato più inquietante? A pagarne le conseguenze sono spesso i più giovani, con un’escalation di obesità infantile che l’OMS definisce “preoccupante”.
Per capire la pericolosità dei cibi processati, bisogna partire dalla loro composizione. Sono alimenti creati in laboratorio più che in cucina, frutto di una raffinazione estrema che li priva di fibre, vitamine e minerali. Aggiungono calorie, ma tolgono nutrienti. Offrono gusto e praticità, ma alimentano infiammazioni silenziose, alterazioni metaboliche, dipendenze alimentari. Eppure continuano a occupare spazio nelle nostre dispense, spesso per ignoranza, abitudine o semplice mancanza di tempo.
La prevenzione, in questo scenario, diventa un atto rivoluzionario. Significa riscoprire la cucina di casa, quella fatta di materie prime fresche, legumi, verdure, cereali integrali. Significa leggere le etichette, conoscere quello che si mangia, educare i bambini sin da piccoli a distinguere il cibo vero da quello finto. Le alternative esistono e sono alla portata di tutti, ma servono politiche pubbliche che incentivino la scelta consapevole, campagne di informazione, tassazione sugli alimenti più dannosi, come già avviene in alcuni paesi del Nord Europa.
Nel frattempo, la responsabilità personale resta centrale. Non è più possibile ignorare che ciò che mettiamo nel piatto ogni giorno è strettamente connesso con ciò che accade al nostro corpo, alla nostra mente, alla nostra aspettativa di vita. Continuare a consumare cibi processati con leggerezza significa giocare alla roulette russa con la propria salute.
Serve un cambio di paradigma. Non basta parlare genericamente di “mangiare bene”: occorre parlare di cosa evitare e perché. Bisogna abbandonare il mito della comodità a tutti i costi, smettere di accettare che il tempo risparmiato cucinando si paghi poi in anni di malattia.
Perché se i cibi processati sono stati processati… ora sono anche condannati. E chi continua a farne largo uso, rischia di esserlo con loro.
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