La carenza di medici in Italia è uno specchio fedele della crisi sistemica che affligge il nostro sistema sanitario (leggi qui). Non si tratta di un problema emerso all’improvviso: è il risultato di decenni di politiche inadeguate, visioni miopi e decisioni rimandate. Questa situazione, ormai sotto gli occhi di tutti, sta mettendo in seria discussione uno dei capisaldi del nostro welfare: il diritto universale alla salute.
Il numero chiuso nelle facoltà di medicina, introdotto per ragioni di sostenibilità e qualità della formazione, si è trasformato in un imbuto formativo che non risponde alle reali esigenze del Paese. Da anni si laureano meno medici di quanti ne servirebbero per coprire le necessità di un sistema sanitario che, al contrario, richiede più personale a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle patologie croniche.
A ciò si aggiunge il fenomeno della fuga dei cervelli: molti giovani laureati preferiscono esercitare all’estero, attratti da retribuzioni migliori, condizioni lavorative più dignitose e prospettive di crescita professionale che in Italia sembrano sempre più un miraggio.
L’effetto combinato di queste dinamiche è devastante. Gli ospedali faticano a garantire servizi essenziali, i medici in servizio sono sovraccaricati e rischiano il burnout, mentre i pazienti si trovano ad affrontare liste d’attesa interminabili. Questo non fa che alimentare un senso di sfiducia nei confronti del sistema pubblico, spingendo sempre più persone verso il settore privato o, nei casi peggiori, verso l’abbandono delle cure.
Ma il problema non è solo quantitativo. È anche territoriale. In alcune regioni, specialmente nel Sud Italia, la carenza di medici assume proporzioni drammatiche. Qui, l’assenza di incentivi adeguati e la scarsa attrattività delle strutture sanitarie locali fanno sì che il divario con il Nord si ampli ulteriormente, mettendo in discussione il principio di equità su cui si fonda il Servizio Sanitario Nazionale.
Per affrontare questa crisi non servono soluzioni tampone, ma una riforma profonda e strutturale. Occorre rivedere il sistema del numero chiuso, pianificando l’accesso alla professione in base alle reali esigenze del Paese.
È necessario garantire condizioni di lavoro eque, investire in infrastrutture e tecnologie, e creare incentivi concreti per attirare e trattenere i professionisti della salute, soprattutto nelle aree più svantaggiate. Inoltre, bisogna affrontare il problema dei pensionamenti, assicurando che il ricambio generazionale avvenga in modo graduale e sostenibile.
La carenza di medici non è solo una questione tecnica o organizzativa. È un problema politico, sociale e morale che riguarda la nostra capacità, come Paese, di tutelare uno dei diritti fondamentali dei cittadini. Ignorarlo o affrontarlo con misure insufficienti non farà che peggiorare la situazione.
È il momento di agire, con coraggio e visione, per garantire che la salute non diventi un privilegio riservato a pochi, ma rimanga un diritto universale e inalienabile.
Credit ph: Foto di mspark0 da Pixabay
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