In Italia, le famiglie immigrate affrontano una mortalità infantile significativamente più alta rispetto alle famiglie italiane, con un incremento preoccupante del 60%. Il Prof. Mario De Curtis dell’Università La Sapienza di Roma ha evidenziato questi dati allarmanti durante il XIV Congresso SIMMESN a Montesilvano, sottolineando come queste differenze siano radicate in profonde disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie.
Mortalità infantile, il problema di fondo
Il fenomeno coinvolge oltre un milione di minori con cittadinanza non italiana, rappresentando l’11,2% dei giovani residenti in Italia. La condizione di vulnerabilità di questi bambini è aggravata da barriere linguistiche, economiche e da un accesso limitato ai servizi sanitari essenziali, rendendo i bambini di famiglie immigrate particolarmente esposti a rischi per la salute sia pre che postnatali.
Disparità regionali
Le disparità sono ancor più marcate al Sud Italia, dove i bambini immigrati mostrano un rischio di mortalità del 65% superiore rispetto ai loro coetanei del Nord. Questa situazione richiede una risposta urgente per migliorare l’assistenza sanitaria e le condizioni di vita di queste popolazioni vulnerabili.
Gli interventi necessari
De Curtis ha urgente la necessità di migliorare le condizioni socioeconomiche delle famiglie immigrate come misura preventiva essenziale. È fondamentale un maggiore supporto istituzionale per assicurare che nessun bambino, indipendentemente dalla sua origine, venga lasciato indietro nelle politiche di salute e integrazione.
Verso un futuro più equo
Migliorare le condizioni di vita e l’accesso ai servizi sanitari per le famiglie immigrate non solo ridurrebbe la mortalità infantile ma contribuirebbe significativamente al benessere generale della società italiana, promuovendo un ambiente più giusto e inclusivo per tutti.
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