Dal rispetto alla violenza: la drammatica crisi del mondo sanitario

Dai Pronto Soccorso italiani ai teatri di guerra come il Sudan, la sicurezza di medici ed infermieri è sotto attacco.
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Negli ultimi anni, il mondo della sanità ha subito un progressivo e inquietante declino nel rispetto e nella sicurezza degli operatori sanitari, tanto in Italia quanto a livello internazionale. Durante la pandemia di COVID-19, i medici e gli infermieri erano celebrati come “angeli” ed “eroi”, simboli di dedizione e sacrificio. Ma quella gratitudine collettiva sembra appartenere a un’era remota. Oggi, assistiamo a un’escalation di violenze, non solo nei Pronto Soccorso italiani, ma anche in contesti drammatici come i teatri di guerra.

In Italia, gli episodi di aggressione contro il personale sanitario sono ormai un fenomeno allarmante. Ogni giorno si verificano insulti, minacce ed episodi di violenza fisica. Nei Pronto Soccorso, luoghi già segnati da condizioni lavorative estenuanti, l’attesa di cure diventa spesso miccia di rabbia e disperazione. In alcuni casi, il personale medico è costretto a lavorare sotto la protezione delle forze dell’ordine. Una situazione che dovrebbe far riflettere: come si può garantire la salute dei cittadini se coloro che la custodiscono sono sotto assedio?

Nei contesti di guerra, la situazione assume contorni ancora più tragici. Le notizie provenienti dal Sudan sono emblematiche. Il 18 dicembre, le Forze di Supporto Rapido (RSF) hanno fatto irruzione nel Pronto Soccorso dell’Ospedale Didattico di Bashair, sparando, minacciando il personale e interrompendo cure salvavita. Non è la prima volta che si registrano episodi di tale gravità: già a novembre lo stesso ospedale era stato teatro di violenze simili. Medici Senza Frontiere, presente sul campo, ha condannato con fermezza queste incursioni, che violano la neutralità delle strutture sanitarie e mettono a repentaglio vite già estremamente vulnerabili.

Questi attacchi sono l’emblema di una disumanizzazione che sembra diffondersi ovunque. Ciò che colpisce non è solo la brutalità degli eventi, ma la loro sistematicità. Questi episodi non sono più percepiti come emergenze straordinarie, ma quasi come parte di una quotidianità violenta, nella quale le istituzioni sembrano impotenti e la società si dimostra sempre più indifferente.

Come si è giunti a tutto questo? Una risposta univoca non esiste. Stress accumulato, carenze strutturali, disinformazione e una crescente sfiducia nelle istituzioni sanitarie sono tutti fattori che alimentano il problema. Tuttavia, c’è qualcosa di più profondo che interroga la nostra coscienza collettiva. In un mondo che sempre più celebra il profitto e l’individualismo, chi si dedica agli altri viene spesso relegato a una posizione di vulnerabilità.

Il personale sanitario, da simbolo di speranza, è diventato bersaglio di frustrazioni e violenze. È una spirale che deve essere interrotta. La neutralità degli ospedali deve essere sacra, sia in tempi di pace sia in scenari di guerra. La società non può permettersi di dimenticare il valore di chi, ogni giorno, sceglie di mettere a rischio la propria vita per salvare quella degli altri.

Riconoscere questa urgenza non è solo un atto di civiltà, ma un passo indispensabile per ricostruire un tessuto sociale lacerato. Occorre agire con fermezza: leggi più severe, investimenti nelle strutture sanitarie, campagne di sensibilizzazione e, soprattutto, il recupero di un’etica collettiva che metta al centro il rispetto per chi cura e si prende cura.

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